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Scuola estiva
di illustrazione
Palermo
luglio-agosto
2015

CIRCA TREMILA ANNI DI STORIA SONO DIFFICILI DA NASCONDERE. E QUESTA CITTÀ NON HA NESSUNA INTENZIONE DI FARLO. LA SUA STORIA, CON LA SUA SCONFINATA BELLEZZA, VIENE FUORI DA OGNI ANGOLO. 

Avremmo potuto scomodare Goethe per introdurre Palermo (“Nel giardino pubblico vicino al porto, trascorsi tutto da solo alcune ore magnifiche. È il posto più stupendo del mondo”), ma l’hanno già fatto in molti, troppi.

Ci piace di più pensare a Federico II di Svevia, che tra il 1194 e il 1250 ebbe a dire: “Non invidio a Dio il Paradiso. Sono ben soddisfatto di vivere a Palermo“. Oppure a Muhammad al-Idrisi, cartografo arabo di nobile lignaggio che, intorno al 1145, fu “invitato” da re Ruggero II in questa città per realizzare una raccolta di carte geografiche che divenne nota come “Il libro di Ruggero”. E, di questà città, scrisse: “Bella e immensa, massimo e splendido soggiorno, ornata di tante eleganze che i viaggiatori si mettono in cammino per ammirarne le bellezze di natura e di arte“.

Schizzando nel tempo – come con un elastico – oltre a Goethe e al-Idrisi, anche Tito Lucrezio, Guy De Maupassant, Giovanni Pascoli, Cicerone, Giosuè Carducci, Dante Alighieri, Omero, ebbero qualcosa da dire su questa terra. Persino Karl Marx e Friedrich Engels si sentirono in dovere di citarla.

Palermo Cathedral in Italy

Se cercate “Palermo” in uno qualsiasi dei motori di ricerca, quasi sicuramente balzerà fuori il magico Wikipedia, che con circa undici, dodici metri (verticali) di pagina, vi racconterà di questa città con rigoroso piglio scientifico e statistico, senza tralasciare di magnificarne le bellezze.

Impossibile, per noi di Illustramente, organizzare una pagina di “buoni motivi per venire a Palermo” ricorrendo allo stesso sistema: noi facciamo un altro lavoro. E allora vi diciamo i nostri, di buoni motivi.

E se decidete di iscrivervi alla Summer School di Illustramente e quello che vi abbiamo detto non corrisponde al vero, bè, quale migliore occasione per contestarcelo?

Ecco i nostri buoni motivi per venire a Palermo…

Uno dei tantissimi luoghi comuni che riguardano Palermo è, probabilmente, il più azzeccato.
Palermo è la città delle contraddizioni, dove il bene e il male si fondono in un così inestricabile groviglio che è impossibile trovare il… bandolo della matassa. Attenzione, però. Solo il palermitano vive queste contraddizioni. All’ospite devono restare escluse. E il palermitano, qualsiasi palermitano, farà il possibile per mostrare “all’ospite” (non importa che sia il “proprio”, o semplicemente un “forestiero”) la faccia illuminata della luna, consapevole che il lato oscuro riguarda solo chi Palermo la abita tutto l’anno, nella migliore accezione del detto che “i panni sporchi si lavano in famiglia”.

ARANCINE? GASTRONOMIA!
Qualcuno direbbe: la gastronomia. Anzi, come fa figo dire oggi: l’eno-gastronomia. Di sicuro, un buon motivo per venire a Palermo.
Noi, invece, diciamo le “Arancine” (“A” maiuscola e declinazione rigorosamente al femminile). Sono già loro, le Arancine, uno dei motivi per venirci a trovare. Le Arancine ruotano intorno a un universo di “rosticceria” (così viene inquadrata, a queste latitudini, la specifica gastronomia in cui si inseriscono), che comprende “pezzi” d’autore dai nomi più o meno esotici o stravaganti (iris, rizzuole, ravazzate) o più classici (calzoni, spiedini, pizzette). Attenzione a questi ultimi: se pensate a un “calzone”, a uno “spiedino” o una “pizzetta”, nel senso classico di questi termini, non avete la benché idea di ciò che vi aspetta.
A parte la consapevolezza che, in quanto ad apporto calorico, ognuno di questi “pezzi” equivale a un abbondante pranzo completo.

I DOLCI
Sempre in tema di “cose da mangiare”. Dei dolci, ne vogliamo parlare? No, non ci riferiamo a quello che probabilmente conoscete già: cassate, cannoli e compagnia bella, tutti buoni motivi non per venire a Palermo, ma per trasferirvisi. Parliamo della prima colazione. Bar, albergo o B&B che sia,  la vostra “prima colazione” a Palermo, sarà di certo ciò che vi consentirà di affrontare la giornata. Qualsiasi giornata.

LA PRIMA COLAZIONE
Scordatevi la “prima colazione continentale”: qui non siamo al “continente” e se in albergo, al buffet, trovate formaggio a fette e prosciutto, ignorateli accuratamente.
I re incontrastati della prima colazione sono i cornetti. Soavi e fragranti “croissant”. Non fate mai, ma proprio mai, l’errore di chiamarli “brioches”, (che l’idioma locale definisce “brioscia”). Oltre all’equivalente di indicare con estrema chiarezza la vostra provenienza (Nord-est o paraggi), correreste il rischio (si fa per dire) che vi venga servita una vera “brioche”, come tutti i manuali di cucina insegnano; e magari col gelato dentro. Perché anche questa è una specialità: la “brioche”, mangiata da sola, perde ogni senso. Qui la si mangia col gelato (e che gelato) dentro.

I cornetti, dicevamo, sono piccole opere d’arte (“vuoti”, al miele e cereali, o ripieni di ogni sorta di crema, compresa quella… poetica alla ricotta) e si affiancano, nella lussuriosa sezione del museo della gastronomia palermitana riservata alla prima colazione, a tanti altri gioielli dai nomi talmente affettuosi che sembra pure male addentarli: fazzoletti, treccine, danesi e danesine, palline (originariamente “Krapfen”. Solo che il termine “Krapfen” è pesante, di nome e di fatto. Troppo teutonico. Le “palline” sono – come recitava uno spot di una famosa cioccolateria – “un miracolo di scioglievolezza”); eppoi ancora, ciambelline fritte o al forno e un’infinità di altre stregonerie – nel formato normale o “mignon” – ricoperte o ripiene di creme varie e variegate che solo un pasticcere geniale, determinato a catturarti anima e cuore, attraverso lo stomaco, può ideare. E, a Palermo, ce ne sono migliaia.

IL GELATO
Del gelato, meglio non parlarne. Non è argomento da trattare così, a scopi promozionali. Quaggiù, il gelato, è rigore. Filosofia, quasi. Il termine dispregiativo “industriale” viene sovente utilizzato per valutare negativamente gelati e sorbetti che vincerebbero premi ai più prestigiosi concorsi internazionali. E, allora, potrebbe capitarvi di imbattervi in un gelato, magari acquistato in un piccolo e insignificante bar, capace di farvi rivedere ogni altro concetto precedente relativo a questo argomento. Il gusto, la compattezza, persino la temperatura e il modo di servirlo (nel “cono”, nella brioche, nella “coppetta” o nel mistico – e mitico – “spongato”, un calice di metallo traboccante di gelato, che trasforma in liturgia l’assunzione dell’alimento), lasciano intendere quanta “religione” vi sia dietro questo algido prodotto… E “algido”, qui, è utilizzato solo come aggettivo: nessun riferimento alla pur gloriosa azienda dal nome assonante.
In realtà, come quasi tutto, a Palermo, anche gelati e sorbetti sono caldi e passionali.

RISTORAZIONE E PIATTI TIPICI 
Solo due parole per chi identifica Palermo con la “pasta al forno”.
La “pasta al forno” (timballo di anelletti di pasta, condito in vari modi in cui, comunque, il ragù di carne di manzo domina e impera), tanto di cappello, è solo “uno” dei piatti tipici della cucina palermitana. Ci vorrebbero mesi, forse anni, per elencarli tutti. Quello che vi diciamo, con estrema sincerità, è che a Palermo è davvero difficile entrare in un ristorante (purché sia autoctono e non alloctono) e uscirne delusi. Sia che siate ghiotti di carne o di pesce. In quest’ultimo caso, tuttavia…
Vero, a Milano, sede di uno dei più importanti mercati ittici d’Italia, si mangia dell’ottimo pesce. Allora, prima di venire a Palermo, andate a Milano. Abboffatevi di piatti a base di pesce e poi venite qui, per comprendere la differenza.
Nell’incantevole Mondello, così come in tante altre borgate marinare della città, i pescatori escono nottetempo e, alla mattina, per strada, ristoratori e casalinghe fanno man bassa. Ogni piatto inizi a sentirlo dall’olfatto, prima ancora che dal gusto…
Venire a Palermo (ma questo vale per qualsiasi altra parte della Sicilia, a parte le zone montuose, dove la carne la fa da padrone) per comprendere il significato della voce di menu: “piatto di pesce” non è un’esagerazione “promozionale”. È un dato di fatto.

STREET FOOD. IL CIBO DEI POVERI
Lo chiamano “Street food”. Forbes ha assegnato a Palermo il quinto posto (nel mondo) per il cibo “da strada”. Non si può capire l’esperienza sensoriale se non la si prova. Dallo “sfincionello” (una sorta di pizza morbida ricoperta da un intingolo di salsa di pomodoro, cipolle e formaggio saporito), alle “panelle” (frittelle di farina di ceci, anche se detta così non rende) e le “crocchè” (o “cazzilli”, crocchette di patate) sono i numeri uno, in testa all’immaginario collettivo dello street food palermitano, subito prima del “pane ca meusa”: panino con milza, trachea e polmone di vitello. Niente svenimenti, prego. Abbiamo lasciato lo street food per ultimo perché è riservato a stomaci forti.
Ora è diventato un “trend” ma, qui a Palermo, nel corso della storia, era “il cibo dei poveri”: non si buttava via nulla degli animali che si macellavano. Il vero street food palermitano comprende anche le “stigghiole”, il “musso”, il “carcagnolo” e alcune altre cose che, tuttavia, non siamo in grado di suggerire in quanto non… ne abbiamo mai fruito. Pietanze riservate a stomaci d’acciaio che, comunque, sono la vera l’essenza dello street food di questa città.

I MONSÙ
A un certo punto delle tante (troppe) dominazioni della Sicilia in generale, e di Palermo in particolare, intorno al ‘700, i nobili siciliani che in quel periodo erano, rispetto al popolo, una sorta di semidei, amati o odiati a seconda dei venti dominanti, assoldarono una pletora di cuochi francesi molto in voga. E la leggenda vuole che questi abbiano dato tanto alla cucina tradizionale siciliana (c’è chi vuole che l’irresistibile “caponata” di melanzane sia da attribuire a queste contaminazioni, mentre c’è chi la attribuisce alla dominazione spagnola).
È molto più probabile, tuttavia, che i Monsù (dal termine “Monsieur”) non abbiano dato proprio nulla alla cucina siciliana, tanto che i nobili preferivano – evitando salse e sughetti burrosi proposti dai loro Monsù – ricorrere al cibo da strada.
Un esempio su tutti: la ricetta del gateau francese e del “gattò” palermitano. Di sicuro i monsù portarono tante ricette, ma queste vennero elaborate, se non addirittura stravolte, nelle cucine dei nobili e, molto più spesso, dal popolo.
Rimane un mito, nella gastronomia siciliana, il famoso piatto “Brodo di pesce col pesce a mare”. Nell’impossibilità di utilizzare il pesce per fare il brodo (per il cattivo tempo che impediva ai pescatori di pescare, o perché non si disponeva del denaro per acquistarlo), le massaie andavano a “grattare” dagli scogli le alghe e le utilizzavano per i propri condimenti.
In qualcuna delle innumerevoli trattorie di Palermo, che non hanno velleità di Nouvelle Cuisine o di Master Chef, e dove si mangia straordinariamente bene anche la pasta con fagioli, è ancora possibile ritrovare questo piatto nel menu. Anzi, no. Il menu, in queste trattorie, non esiste.

Perché “si mangia quello che c’è”. E ne vale la pena…

Il mare, a Palermo (e in Sicilia, in generale), non è quel concetto astratto che hanno i “turisti” che quaggiù vengono per districarsi tra ombrelloni, sdraio, cocco e gelati.

Il mare, per noi, è ragion d’essere.

È tiranno, quando vuole (e, caspita, è tanto capace di esserlo), ma anche padre amorevole (e anche questo gli riesce bene).

Chi non è palermitano, o siciliano, tuttavia, si riempie gli occhi di questi scenari azzurri e va bene così.
Ogni singolo anfratto della Sicilia costiera, riserva esperienze di mare indimenticabili. Per non parlare delle isole minori. Da Ustica, isoletta incantevole proprio dirimpetto la città, alle Eolie, alle Egadi, alle Pelagie.

Ogni isola minore della Sicilia, ogni arcipelago, è un sogno, saturo di poesia e di ragioni per innamorarsene. E per ritornarci.

A Palermo, la “spiaggia di casa” è Mondello.
È uno dei luoghi più affascinanti del mondo: lunghi viali alberati di pinus pinaster e siepi fitte fitte di profumatissimo pittosporum, costellati di ville in stile Liberty (no, non “in stile”. Il Liberty “quello vero”. Oltre 300 “villini”, così vengono chiamati, costruiti tra la fine dell’800 e i primi del ‘900. Una gioia per gli occhi), che adornano un paradiso godibile per dodici mesi l’anno.
Una spiaggia di sabbia bianca e una posizione geografica molto particolare, rendono questa località davvero unica. Quando le maree, le correnti e le brezze l’accarezzano – come amano fare – sembra di stare ai tropici.

I nostri amici del Club Albaria (che in siciliano vuol dire “albeggiare”), che da più di 20 anni si adoperano (e talvolta si battono) per la salvaguardia e la fruizione di Mondello, hanno contribuito a fare di questa località un gioiello che tutto il mondo ci invidia, anche sotto il profilo sportivo-ricreativo. Il World Festival on the Beach, infatti, è una manifestazione, giunta alla sua 21a edizione, che catalizza l’attenzione dei media a livello planetario. Nelle acque della baia palermitana, quest’anno, si svolge il campionato europeo di Windsurf classe RSX…

ALCUNE IMMAGINI DI PALERMO
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(Foto Getty Images)