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Farò il faro!!!


19-trioloPrima di conoscere Gabbiano, semplicemente non volevo essere un faro.
Costruito in cima ad una ripida scogliera non volevo stare solo e per di più immobile. Osservavo da lontano la vita che si svolgeva nella vicina isola di Sponge e provavo un po’ di invidia per la posizione in cui si trovava il vecchio campanile. Al centro della vita del paese, rallegrava tutti con i rintocchi della sua campana che sovrastavano anche il rumore del mare in tempesta. incapace di emettere suoni, nel tentativo di farmi notare, lo accendevo e spegnevo la mia luce bianca senza stancarmi mai. Ma, sull’isola, ognuno continuava la sua attività senza curarsi della mia presenza.
“Come posso arrivare dall’altra parte?” mi chiedevo. “Vorrei essere un uccello, ma chissà che grandi ali dovrei avere per sostenere il mio gran peso” – pensavo.
“Vorrei essere un pesce, ma così pesante affonderei nelle acque profondei”.
Giorno dopo giorno mi accorsi che non era necessario andare tanto lontano per essere felice.
Accanto a me avevo già tanti amici. Giocavo con le nuvole e con le loro mille forme. La notte contavo le stelle per poi addormentarmi prima di averle contate tutte e facevo a gara con la luna per brillare più di lei. Ma le mie vere amiche erano le onde del mare.
I giorni in cui il vento arrivava fin sulla costa io iniziavo a chiamare le onde e loro mi rispondevano agitandosi tanto da solleticarmi. I loro spruzzi su di me provocavano una tale ilarità che ero costretto a supplicarle perché si fermassero. Ma non era facile convincerle. Solo quando il vento andava via anche loro si allontanavano.
Un giorno vidi un puntino nero sulla superficie azzurra del mare. Era una barca più piccola delle altre che avevo già visto da quelle parti. Ero talmente desideroso di compagnia che immaginai che la barca fosse lì proprio per giocare con me e iniziai ad agitarmi per la grande gioia. La luce della mia lampada iniziò a splendere di più per salutare gli ospiti in arrivo e anche le luci provenienti dalla barca sembrava volessero rispondere ai miei saluti. Aumentai il ritmo con cui accendevo e spegnevo la lampada e allo stesso tempo continuavo a chiedere a gran voce alle mie onde di spingere fino a me l’oggetto del mio nuovo divertimento. Le onde non sembravano d’accordo: la notte precedente avevano giocato a rincorrersi e adesso erano troppo stanche per ricominciare.
“Sveglia, pigrone!“ dissi io. “E’ il vostro faro che ve lo chiede!”
Quella che sembrava la più piccolina di tutte da lontano iniziò a fare mille caprioleseguita da mille altre e in pochi attimi il mare calmo della notte divenne un rumoroso mare in tempesta.
“Forza -gridavo- ancora più veloci, portatemi quella barca!”
E le mie amiche ubbidivano. Anche la barca iniziò a fare le capriole. Mi incantai davanti a quello spettacolo, dimenticando di mantenere viva la mia luce. Il buio annerì tutto per qualche istante. Le onde iniziarono ad essere più nervose e il loro solito solletico si trasformò in una lotta violenta che mi riportò alla realtà.
Quando, finalmente, riaccesi la lampada la barca era ormai troppo vicina agli scogli.
“Basta così, amiche mie, o la mia nuova amica affonderà” gridai.
Ma non mi ascoltavano più. Fortunatamente‘ dall‘isola di Sponge una barca più grossa venne a salvare l’imbarcazione che ‘si allontanò da me senza voltarsi indietro.
Rimproverai le onde cattive: “perché mi avete fatto questo? andate via!”.
E più loro si avvicinavano, più io le allontanavo.
Mentre piangevo si avvicinò un gabbiano. Si poggiò sui miei fianchi e mi chiese con voce stridula:
“Perché piangi, faro? Vuoi forse inondare il paese di Sponge con le tue lacrime?”
Gli risposi seccato: “piango perché mi sento solo. Ho perso tutti i miei amici. Piuttosto, vuoi essere tu il mio nuovo amico?”
Il gabbiano iniziò a ridere a crepapelle e poi aggiunse: ” ah, ah, ah…. io amico di un faro??? Ma cosa stai dicendo? Nei miei lunghi viaggi ho conosciuto tanti fari e nessuno si è mai lamentato di essere solo. Ho conosciuto solo fari orgogliosi di portare questo nome.”
“Stai mentendo, Gabbiano, solo per consolarmi: come può un faro essere felice se è costretto a rimanere fermo e solo tutta la vita? lo vorrei inseguire le barche, correre come le onde e il vento e invece rimango immobile ad osservare le onde che spariscono all’orizzonte e gli uccelli che volano alla ricerca di nuovi mondi”.
La voce di Gabbiano si fece più seria e mi disse: “caro Faro, tu non hai ancora capito quanto sia importante il tuo ruolo. Forse non sai che i pescatori cercano con ansia la tua luce quando rientrano al porto nella notte buia? E’ solo grazie a te che riescono a tornare sani e salvi alle loro famiglie. Non ti accorgi come il campanile invidila tua maestosità e dall’alto la luna ti lodi per la tua capacità di illuminare la notte anche quando lei non c’è? ”
“Guarda laggiù, amico mio, quanta gente dall”isola di Sponge sta risalendo la scogliera per renderti omaggio per aver permesso di salvare l’imbarcazione in difficoltà quel giorno di mare in tempesta. Gli attimi in cui la tua luce è rimasta spenta sono bastati ad attirare l’attenzione dei pescatori in porto che hanno inviato sul posto la loro barca più grande”.
“lo ho fatto tutto questo? – dissi iniziando a capire cosa voleva dire Gabbiano – Non posso credere di essere stato tanto importante. Gabbiano, avevi davvero ragione: il mio posto è qui. Se potessi allontanarmi per rincorrere le onde e le barche non sarei più nessuno!!!”.
Quella notte, mentre l’isola di Sponge dormiva nel silenzio, posai la mia luce su di essa e mi addormentai felice di essere un FARO.
Laura Triolo

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