Livio Sossi è morto.

Gente, bisogna che ne prendiamo atto. Tanti “fari” si sono spenti, prima di lui. Vogliamo farcene una ragione?
Lo so, lo so… Una cosa è apprendere, dai libri di storia, che Michelangelo Buonarroti – mannaggia – non c’è più, e pazienza; una cosa è farsi una ragione della scomparsa di Andy Warhol, di John “Bonzo” Bonham;  di Gilles Villeneuve e Ayrton Senna, di Freddy Mercury o Mark Hollis.

Anche la scomparsa di Lucy, la mia adorata cagnetta Golden, per dire, ha rappresentato un faro che si è spento e che mi ha lasciato spiazzato, impoverito, perso nel buio di una notte fonda e profonda.

Con Livio, per Livio, cazzo, succede lo stesso e brucia da morire.
Con l’aggravante che tutti pensavamo, diciamocelo, che Livio ci sarebbe stato per sempre.

Lui era “costante e presente”. Un faro. Il “faro”, per definizione.
Presente in ogni dove, contemporaneamente. Ammantava ciò verso cui si spendeva con un velo di pagine di libro, con un’indicazione, un suggerimento, una citazione, una lectio magistralis esposta, magari, durante una pausa caffè. Tu eri qui, lui era lì. Ma era come se foste, contemporaneamente, nello stesso posto, nello stesso spazio, nello stesso tempo.

Sembra impossibile, ma è così: Livio non c’è più.

Ho il governo tecnico del sito di Illustramente, grazie a Rosanna – che di Illustramente è il direttore artistico – che mi concede, bontà sua, questo privilegio. Da quell’infausto giorno, da quando Livio è morto, ho deciso che il sito di Illustramente fosse “oscurato”.
“Livio forever”, Livio per sempre, ho scritto in un “cartello” che veniva visualizzato quando si digitava l’indirizzo illustramente.it. Anche in ragione della sofferenza, estrema, che ho visto patire in lei, in Rosanna, che mi ha fatto conoscere, e amare, Livio.

Dal punto di vista dei “social media manager” è stato l’equivalente di una cavolata: nessuno ci ha fatto caso, ma chi se ne frega.

Ora, giusto oggi, ho deciso di riattivare la fruizione del sito di Illustramente.
È finito, prima o poi doveva finire, il tempo del ripiegarsi su sé stessi, dell’invocare pietà nei confronti di chi ci infligge così tanto dolore, dell’appellarsi contro un destino così balordo da privarci di ciò che ci fa stare bene.
Quel tempo è finito, o forse non è mai iniziato. Perché Livio non lo avrebbe voluto.

Ho provato a imitare, per il divertimento di chi stava ad ascoltarmi, il suo assurdo timbro di voce. L’ho fatto anche con lui, che si è divertito moltissimo. Ho trasbordato i suoi libri, mille e più volte, da uno scalo aeroportuale, o da una stazione ferroviaria o di pullman, a uno qualsiasi dei “luoghi di conoscenza” che “lui” ha contribuito a far diventare tali; ho provato a cercare, per lui e molto spesso imprecando, i suoi classici bagagli smarriti, i pantaloni rossi, le scarpe improbabili; l’ho portato a dormire, quando non pareva avesse bisogno nè voglia di farlo e l’ho risvegliato, troppo spesso, troppo presto; l’ho nutrito, di cibo sfizioso che pareva non averne mai abbastanza; e ho contribuito ad avvelenarlo, cercando di recuperare le sue pestilenziali sigarette al mentolo, magari a notte fonda, in una città, Palermo, che lui diceva di amare.

I grandi mentono, con la consapevolezza di farlo. Lui non amava Palermo. Cioè, l’amava. Ma allo stesso modo in cui amava ogni singolo, seppure microscopico, punto della complessa mappa dei suoi schizofrenici spostamenti.

Finisce qui la mia arbitraria incursione nel sito di Illustramente. Non prima, però, di aver puntualizzato due cose.

La prima, fondamentale, è che Livio Sossi si è speso, in modo esagerato, per Illustramente. Quello che lui ha dato a questo progetto, è assolutamente e incondizionatamente superiore a quello che da questo progetto ha ricevuto. È come l’albero che dà i frutti solo in ragione di qualche sporadica goccia di pioggia che lo irriga.

La seconda, altrettanto importante, è che io, Rosanna, Illustramente, nonché tutti coloro che con noi hanno lavorato, e amato Livio come noi l’abbiamo amato, di certo, faremo in modo di stigmatizzare quanti dovessero provare a trarre profitto dall’avere avuto a che fare con Livio attraverso di noi. Non succederà, di certo. Dovesse accadere, e vigileremo su questo, al posto di pace, amore e collaborazione incondizionata, solo ferocia.

Pur consapevoli che lui, nella sua sconfinata cultura, il termine “ferocia” era probabilmente l’unico di cui ignorava l’esistenza.

Vincenzo Corona
Responsabile della comunicazione di Illustramente